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N.B.: I seguenti testi sono stralci di alcuni giornali e quindi il sito non è responsabile del contenuto.

Prefazione

La morte del Duce BENITO MUSSOLINI è stata sempre avvolta dal mistero, come la fine di tutti i grandi uomini del resto... Sul suo o sui suoi presunti carnefici ci sono state testimonianze discordanti, sia per quanto riguardava la loro precisa identità e il luogo della "mattanza" sia per quanto riguardava il "modus operandi" degli assassini. Ricordo che sui libri di scuola la notizia della morte di Mussolini era riportata pressappoco così: "il 28 aprile del '45, il Duce veniva giustiziato a Milano nel Piazzale Loreto insieme alla Petacci e ad altri gerarchi del regime". Tutti i più seri libri di storia sul fascismo, danno un rilievo minimo ai "modi" in cui Mussolini fu ucciso. E nessuno si sognerebbe mai di dire che quei libri sono lacunosi. Proprio perchè libri di storia, e non di cronaca, quei testi e quegli autori non si pongono assolutamente il problema di "chi" abbia materialmente eliminato Mussolini. Più o meno tutti i libri di storia recitano questo: "il Duce fu giustiziato dal popolo italiano, dalla resistenza". Non importava se ad assassinarlo furono balordi o partigiani, soldati o patrioti, non importava se decisero di ucciderlo nonostante gli alleati angloamericani volevano che fosse consegnato vivo. Non importava se davanti al plotone di esecuzione finì misteriosamente anche Claretta Petacci, nei confronti della quale non fu mai pronunciata alcuna condanna o sentenza di morte da parte del CLN. Non importava nulla di tutto questo, l'unica cosa importante era uccidere il "tiranno" a tutti i costi e in "tutti i modi". Mussolini, negli anni della sua latitanza, aveva più volte confessato a sua moglie, Donna Rachele, che se un giorno fosse stato catturato dai partigiani, sicuramente lo avrebbero ucciso, non lo avrebbero mai processato. Questo perchè egli sapeva che se lo avessero processato c'era il rischio che da accusato potesse diventare pubblico accusatore. Alla moglie disse anche di non fidarsi degli italiani e che se un giorno si fosse trovata in difficoltà poteva chiedere aiuto agli alleati americani, perchè sarebbero stati sicuramente più clementi. Tutti gli uomini politici dell'epoca, benchè appartenenti a partiti diversi, hanno dimostrato di aver accolto di buon grado la "versione tradizionale" sull'uccisione di Mussolini, quella cioè pubblicata sui libri di storia. Il punto da chiarire allora resta un altro: "il perchè della decisione, presa a tavolino dai capi partigiani, nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945, il perchè della decisione di CONDANNA A MORTE".

Fabio Galante

 


 

Una testimonianza agghiacciante rimette in discussione la "verità storica" su quel tragico pomeriggio del 28 aprile 1945

Questa che state per leggere è un'intervista radiofonica tra un giornalista e un medico legale che affermava di aver assistito all'autopsia dei cadaveri di Mussolini e della Petacci. Il medico affermava che all'epoca dei fatti era poco più che ventenne e che egli stesso rimase inorridito dallo spettacolo a cui dovette assistere.

Giornalista: "Così lei avrebbe assistito all'autopsia di Benito Mussolini e di Claretta Petacci?"

Medico legale: "Certamente, e posso affermarti con certezza che la morte dei due non è avvenuta così... come l'hanno raccontata per tutti questi anni"

Giornalista: " No? Quindi lei afferma che la morte non sarebbe avvenuta per fucilazione?"

Medico legale: "Non solo la morte non è avvenuta principalmente per fucilazione, ma anche il luogo dove sono stati giustiziati non è Piazzale Loreto! A Piazzale Loreto sono giunti cadaveri"

Giornalista: "Che a Piazzale Loreto siano giunti cadaveri è ormai risaputo, ma la morte come sarebbe avvenuta?

Medico legale: "Secondo alcuni testimoni attendibili, Mussolini e la Petacci furono sorpresi di notte dai partigiani in un casale  nei pressi di Giulino di Mezzegra, ma più precisamente nella frazione di Bonzanigo al casale De Maria. In seguito vennero picchiati, seviziati, malmenati, infine soffocati. Dopo la morte, e solo dopo la morte, furono inferti loro dei colpi di pistola"

Giornalista: "Ma come si giunse a questa conclusione?"

Medico legale: " Premetto che Mussolini e la Petacci al momento del decesso erano nudi, in quanto le ferite provocate sulla pelle nuda sono ben diverse da quelle provocate su dei corpi con degli abiti, e questo lo può confermare qualunque medico legale. Poi, si aggiunse la vasta zona di ematoma alla base del collo di entrambi, La Petacci presentava ferite ano-vaginali; si pensò che le fu introdotto negli orifizi un bastone o un manico di scopa così violentemente da provocarle emorragie interne gravissime. All'interno della zona vaginale e anale, furono trovate tracce di liquido seminale, facendo presupporre che si trattò di uno stupro di gruppo. Il Duce, a sua volta, non fu risparmiato, infatti, prima che fosse ucciso,  fu   sottoposto a un vero e proprio supplizio in quanto anch'egli violentato e seviziato con l'ausilio di un bastone, poi, presumibilmente quando era ancora vivo,  fu coperto di urina"

Giornalista: "Ma come mai è così sicuro di quello che dice?"

Medico legale: "Del fatto che erano nudi al momento del decesso non vi sono dubbi, come le ho già detto, le ferite su un corpo nudo sono riconoscibili, poi,  i fori dei proiettili sui corpi, non corrispondevano ai fori dei proiettili sui vestiti.  Infine, anche perchè era risaputo il fatto che Mussolini avesse la gamba sinistra più corta dell'altra, e negli stivali, al momento dell'esame autoptico non c'era il rialzo di 2 cm che lui usava abitualmente oltre al fatto che gli stivali non erano della sua misura. Riguardo alle cause di morte per soffocamento non ci sono dubbi anche se furono determinanti le numerose emorragie interne causate dalle sevizie".

 


 

La versione "ufficiale" (una delle tante...)

Questa è invece una delle tre o quattro versioni contraddittorie fornite da Walter Audisio, alias il "Colonnello Valerio" apparsa sul giornale del PCI l'Unità in data 13 dicembre 1945.

Mussolini e la Petacci furono catturati dai partigiani del "Colonnello Valerio" a Dongo, mentre cercavano di fuggire in Svizzera. Questa è la testimonianza rilasciata al giornale:

«Mussolini si mise obbediente con la schiena al muro, al posto indicato, con la Petacci al fianco destro. Improvvisamente pronuncio la sentenza di condanna contro il criminale di guerra: 'Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano'. Mussolini appare annientato. La Petacci gli butta le braccia sulle spalle e dice: 'Mussolini non deve morire'. ''Mettiti al tuo posto se non vuoi morire anche tu', dico. La donna torna con un salto al suo posto, palesando con lo sguardo che bene aveva compreso il significato di quell''anche'.

«Avevo per precauzione provato il mio mitra pochi minuti prima, sicché con tutta la tranquillità mi misi a tre passi di distanza in posizione di sparo. Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra era inceppato. Manovro l'otturatore, ritento il tiro, ma l'arma del 'regime' decisamente non voleva sparare. Cedo allora il mitra al compagno Guido, estraggo la pistola, punto per il tiro ma, sembra una fatalità, la pistola non spara. Mussolini non sembra essersene accorto. Non si accorge ormai più di niente. Passo la pistola a Guido, impugno il mitra per la canna, pronto a servirmene come di una clava e chiamo a gran voce Bill che mi porti il suo MAS. Il vice commissario della 52ª, scende di corsa e di corsa risale, dopo che abbiamo scambiato i mitra, a una decina di passi da Mussolini, che non avevo perduto di vista un istante e che tremava sempre. Erano intanto trascorsi alcuni minuti, che qualunque condannato a morte avrebbe sfruttato per tentare anche una fuga disperata o comunque una reazione di lotta. Invece colui che doveva vivere come un 'leone' era un povero cencio tremolante e disfatto, incapace di muoversi. Nel breve spazio di tempo che Bill aveva impiegato a portarmi il suo mitra, mi ero trovato veramente solo con Mussolini. Come avevo sognato. C'era Guido, ma era freddo e distante, quasi non fosse un uomo ma un testimonio impassibile; c'era la Petacci, al fianco di 'lui' che quasi lo toccava col gomito, ma non contava. C'eravamo lui ed io, lui che doveva morire e io che dovevo ucciderlo. Quando mi fui di nuovo piantato davanti a lui con il MAS in mano, scaricai cinque colpi al cuore del criminale di guerra N.2 che si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa leggermente reclinata sul petto. Non era morto. Tirai ancora una sventagliata rabbiosa di quattro colpi. La Petacci che gli stava al fianco impietrita e che nel frattempo aveva perso ogni nozione di sé, cadde anche lei di quarto a terra, rigida come un legno, e rimase stecchita sull'erba umida. Resto per un paio di minuti accanto ai due giustiziati, per constatare che il loro trapasso fosse definitivo. Mussolini respirava ancora e gli diressi un sesto colpo dritto al cuore. L'autopsia constatò più tardi che l'ultima pallottola gli aveva reciso netto l'aorta. Erano le 16,10 del 28 aprile 1945».

 


 

Petacci, Clara (Roma 1912 - Giulino di Mezzegra 1945), attrice italiana. Si unì sentimentalmente a Mussolini nel 1932 e gli fu vicina negli ultimi anni della sua vita, seguendone la tragica sorte. Arrestata dopo il 25 luglio 1943, al crollo del regime fascista, liberata l'8 settembre, giorno in cui fu annunciato l'armistizio con gli angloamericani, fu assassinata insieme a Mussolini il 28 aprile 1945. Nella foto a destra si può notare il corpo oramai senza vita della Petacci, prima della "mattanza" in Piazzale Loreto. L'immagine mette in evidenza lo squarcio sul petto causato da numerosi colpi di mitra.

In seguito, si saprà che Claretta Petacci non ha mai avuto un ruolo nella politica nè ha mai preso decisioni riguardanti la vita del Paese. Eppure, nonostante questo, i partigiani comunisti, vollero condannarla ugualmente a morte, senza un preciso motivo, senza ragione. Fu la compagna di Mussolini e questo già bastava, perciò la sua fine era segnata. C'era gente che era stata massacrata dai partigiani assassini per meno, molto meno, per niente. Un ordine preciso del CLN, inviato personalmente dal prof. Pietro Bucalossi (il partigiano Guido) all'Istituto di Medicina Legale di Milano, impedì che si procedesse alla trascrizione dell'esame autoptico sul cadavere della Petacci. Questo perchè volevano nascondere le sevizie e le torture subite dalla povera donna prima che i "coraggiosi partigiani" gli concedessero la "grazia della morte". In letteratura è difficile trovare episodi delittuosi, violenze, massacri, crimini cruenti ed efferati come quelli perpetrati dai partigiani comunisti italiani ai danni di persone innocenti.

 


Il colonnello Valerio: "ho ucciso io Mussolini e la Petacci!"

Il colonnello Valerio, alias Giovanbattista Magnoli, alias Walter Audisio, nasce ad Alessandria il 1909. Divenuto ragioniere, si iscrive al partito comunista clandestino. Nel 1934 il servizio segreto fascista ne scopre l'attività politica. Arrestato e processato, viene confinato a Ponza. Successivamente verrà graziato per ordine del Duce. Nel 1943, nominato colonnello dal CLNAI assume il nome di battaglia di "Valerio". Nei giorni della liberazione ha compiti di "pulizia". Le esecuzioni sommarie, eseguite da lui personalmente o da membri della sua colonna partigiana, sono all'ordine del giorno. Nel dicembre del 1945, a distanza di otto mesi dalla morte del Duce, Walter Audisio si dichiarerà esecutore meteriale dell'eliminazione di Mussolini e della Petacci. Per i tre anni successivi, ricoprirà la carica di deputato nel PCI. Ritiratosi dalla vita politica, vive a Roma dove è impiegato all'ENI. Morirà, in seguito ad un infarto, nell'ottobre del 1973

Nessuna gloria per l'uomo che eliminò il "tiranno" Mussolini?
Come mai il PCI si dimenticò dell'uomo che "liberò" l'Italia dal "MOSTRO"?
Perchè la sua morte non fu commemorata dai membri del partito in cui militava?
Forse non fu davvero Walter Audisio a uccidere Mussolini?

È davvero strano e incomprensibile che una così «radiosa» cronaca non sia stata ripresa dai fogli marxisti e dai giornali «conciliari», quando l'11 ottobre 1973 fu data notizia della morte, per infarto, di Walter Audisio. Dopotutto egli, benché da molti anni non avesse fatto parlare di sé, era morto in una stagione favorevole a «rievocazioni» di tal fatta: una stagione ricca di rilanci e di rigurgiti antifascisti; una stagione fiorita di ricordi gloriosi, di commemorazioni presidenziali, di innumerevoli cronache televisive destinate a far capire alla gente quanto grandi fossero stati i meriti e le prodezze dei resistenti, quanto mostruosi e imperdonabili fossero stati gli errori e i sistemi del tiranno Mussolini e quanto necessario, dunque, fosse il neo-antifascismo, chiamato di nuovo alla riscossa e ad unirsi, compatto, contro i fascisti, in procinto di attentare di nuovo alla democrazia e alla libertà.

Dunque, la morte del «colonnello Valerio» avrebbe ben meritato di diventare automaticamente, in un tal clima di odio alimentato a tutti i livelli di potere, in una stagione di caccia agli «eredi di Mussolini», una morte «da prima pagina»: una morte da compiangere in manifestazioni nazionali, onorate dalla presenza del Capo dello Stato e dai massimi e dai minori esponenti della resistenza e del neo-antifascismo.

Una morte, insomma, che avrebbe potuto servire alla «causa» e consentire ai celebratori dell'Eroe Defunto di far maturare, sull'albero neo-antifascista, nuovi e rossi e succosi frutti di odio contro il Tiranno e i suoi biechi «nostalgici».

Invece, contro tutte le previsioni, la notizia di quella morte è quasi passata sotto silenzio. Non tutti i giornali l'hanno riportata, e quelli che han ritenuto di parlare un poco del morto, lo hanno fatto in tono minore, sdrammatizzato, e nelle pagine interne. Soltanto l'Unità, su una sola colonna della sua prima pagina del 12 ottobre 1973, diede la notizia del «grande lutto per 1'antifascismo» (una notizia che dopo poche righe «girava» subito in seconda pagina), accennando «al vasto cordoglio negli ambienti dell'antifascismo e della resistenza», ricordando con una certa freddezza la vita e le opere del caro defunto e riportando un telegramma di Longo alla vedova in cui si faceva cenno al ruolo avuto da Audisio «nei giorni culminanti della guerra partigiana, quando venne operato un taglio netto con un passato di vergogne e di rovine». Niente di più, nessuna particolare esaltazione, e tutto con un tono sommesso, quasi pudico; tale da far pensare ad un senso di colpa dei compagni comunisti, come se quello compiuto da Valerio-Audisio, anziché un atto di giustizia e di eroismo, fosse stato (come fu) un delitto, un crimine comune. La stessa impressione hanno dato le cronache dei giornaletti e giornaloni del regime, che han parlato del morto come di un omino piccino picciò, grigio, semplice, riservato, privo di ambizioni, quasi «incredibile» come «giustiziere» e, poverino, persino «messo da parte», in tutti questi anni democratici, dallo stesso partito comunista. Il tono cui s'è fatto cenno a questo «accantonamento» del «colonnello Valerio», nonostante il suo glorioso e storico «precedente», pareva proprio destinato a far credere ai lettori che in qualche modo il PCI pareva nutrire un pur inconfessabile senso di colpa per l'azione di Audisio. Altrimenti, perché mai uno che aveva «operato un taglio netto con le vergogne e le rovine del passato», (e ciò nel momento in cui aveva «reciso di netto l'aorta» di Mussolini con l'ultimo colpo di mitra), era «finito nell'ombra» anno dopo anno e non era mai stato nominato nemmeno in questi tempi di antifascismo ruggente?

Così, mentre l'Unità s'è limitata a sintetizzare una vita pur tanto «eroica», mentre l'Avanti! e il Paese Sera han dato notizia di quel «gravissimo lutto» soltanto in seconda pagina con evidente distacco, alcuni altri giornali han dedicato un pochino più di spazio. Per dire, come ha detto Il Giorno, che sì, Audisio era stato «un comunista tutto di un pezzo», ma in fondo «da buon piemontese conosceva benissimo i limiti del suo personaggio», «che il suo quarto d'ora era passato da un pezzo».

E che era stato un appassionato giocatore di calcio. Aveva persino «indossato la maglia dei pulcini dell'Alessandria». Una annotazione capace di toccare il cuore di questo nostro popolo sportivo ed emotivo, e magari per una inconscia trasposizione, capace di far pensare al «giustiziere» non soltanto come ad un «pulcino» da squadra di calcio, ma addirittura come ad un tenero, dolce, fragile e inerme pulcino piumoso. Una annotazione suggestiva, quindi, che cancellava il vero «Valerio»: quello che «con tutta tranquillità» s'era inferocito contro «l'arma del regime» che, per strana «fatalità», non voleva aiutarlo a «far giustizia»: quello che s'era sentito un leone davanti all'uomo tanto odiato e che pure era lo stesso che un giorno lo aveva «graziato».

Così, Walter Audisio, se n'è andato come un «pulcino», portando con sé l'immagine del liberatore a tu per tu con «lui che doveva morire» mentre «Valerio», sbavando di gioia e di radiosa soddisfazione, «doveva ucciderlo». L'articolista del Giorno, con una sorta di intima e malcelata angoscia e deplorazione, ha concluso scrivendo che il suo «cuore non ha retto» e il poverino è morto «dimenticato da tutti».

Il Corriere della Sera, invece, pur alimentando vagamente l'idea di un «Valerio» uomo grigio, si è azzardato ad entrare nei suoi «fasti partigiani» e, sostituendosi ai fogli marxisti, ha colto fior da fiore dalle «relazioni» sulla fine di Mussolini (che furono tre), ma non tanto per rimitizzare il «giustiziere», quanto per smitizzare il bieco dittatore. Infatti, il foglio della compagna Giulia Maria, ha trascritto quella parte della terza relazione in cui Audisio aveva annotato, rivelando una viva sensibilità di uomo di famiglia, che il tiranno, mentre stava lì per essere fatto fuori, «non disse una parola, non il nome di un figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido». Il Corriere, trasformatosi per l'occasione in un «inserto» dell'Unità, ha raccontato anche altre cose ma non ha detto, per esempio, che le tre relazioni di «Valerio» erano piene di contraddizioni gravi, determinate anche dal fatto che la prima era stata fatta «a caldo» a Milano e con poche parole, e la seconda e la terza a Roma, sotto il controllo diretto dei più alti gerarchi comunisti delle Botteghe Oscure. Ma il Corriere s'è ben guardato di mettere in rilievo, che quelle contraddizioni nei tre rapporti, dimostravano che «Valerio» s'era prima di tutto preoccupato di «giustificare» la morte della Petacci (che nessuno aveva «condannato» a morte); poi s'era preoccupato di sottolineare che era stata «l'ultima pallottola» ad ammazzare Mussolini, così duro a morire (e ciò per vantare tutto il merito dell'atto eroico); e infine s'era preoccupato di dimostrare che il mitra che aveva ucciso Mussolini si trovava in mano sua: e ciò per contestare certe voci che correvano, secondo le quali non era stato lui il vero giustiziere, bensì il compagno Michele Moretti, quel che vien chiamato «Guido» nella «Relazione numero 2» e descritto da Audisio (che lo detestava), come un «testimonio impassibile». Il Corriere, perciò, non ha voluto togliere il «merito» al «Valerio», e così non ha nemmeno registrato quella parte del «Rapporto Zingales» (che si trova nell'Archivio di Dongo) in cui il Procuratore incaricato di far le indagini sulla scomparsa del famoso tesoro annotò: «Valerio porta via Mussolini e Claretta, che il giorno dopo Moretti uccide. Valerio fa da Maramaldo».

Per non far passar Audisio da «maramaldo» (tanto più che «Valerio» s'era comunque sempre assunta la parte del «giustiziere»), il giornalone della capitalista rossa Giulia Maria, la cui famiglia s'è fatta montagne di quattrini al tempo del tiranno, ha così concluso il suo «ritrattino di eroe»: «Era ed è rimasto fino all'ultimo un fedele uomo di partito e il partito, oggi, gli rende l'ultimo omaggio». Parole intrise di contenuta commozione e di rispetto per la coerenza e la fedeltà di quel buon compagno, di quel brav'uomo che aveva tirato quella «sventagliata rabbiosa», sol perché animato dalla santa rabbia del liberatore, e che aveva ammazzato, chissà come e chissà perché, anche la Petacci: la stessa cui aveva detto di farsi più in là, se non voleva crepare «anche» lei. Un «anche» che doveva aver fatto credere a quella sciocchina (che era fuori di sé) che lei sarebbe stata risparmiata. E invece, guarda caso, era caduta a terra «rigida come un legno e stecchita nell'erba umida».

Ma nessuno ha perduto tempo in questi particolari; nessuno ha voluto «ricordare» quel giorno, quei fatti, quei tempi, quegli «eroismi» e altri (come l'assassinio dei partigiani Gianna e Neri, rei di non esser feroci come dovevano, invece, essere due veri «eroi della libertà»). Nessuno ha ricordato l'«oro di Dongo» e il tentativo dei vari responsabili resistenziali di negare la loro responsabilità nella uccisione di Mussolini con la esposizione dei cadaveri in Piazzale Loreto. Nessuno ha raccontato con quanto calore Sandro Pertini, allarmato dallo sdegno delle Forze Alleate per quel crimine e preoccupato che la resistenza potesse «perdere la faccia», aveva più tardi convinto i colleghi del CLNAI, sulla opportunità di dare «una parvenza giuridica» alle esecuzioni sommarie di Dongo e a quelle successive. E non sono state ricordate nemmeno le parole con cui Parri aveva deplorato l'assassinio della Petacci: nemmeno dallo stesso Parri, che ha mandato le sue condoglianze per la morte di quel fiero assassino di donne. Nessuno, infine ha ricordato che «Valerio», aveva ottenuto la grazia da Mussolini, e che in data 10 luglio 1939, la Legione dei Carabinieri di Alessandria aveva inviato, al distretto militare della stessa città, la seguente comunicazione:

«Il sottotenente di complemento in Congedo Audisio Walter; per atto di clemenza del Duce, è stato dimesso dalla colonia di confino di Ponza, prendendo domicilio in via Lungo Tanaro 25 Casa Ceva».

 

Quindi MUSSOLINI avrebbe graziato il suo carnefice?

 

Tutti hanno ignorato questo «particolare», per non mancare di riguardo al povero morto, anche se non era «un morto da prima pagina». E tutti han preferito, forse per un "ordine di scuderia", trasformare anche i giorni radiosi in giorni grigi e il «giustiziere», in un omino grigio, umile, nato da povera famiglia, diventato deputato così, come per caso, e poi «messo da parte»: forse perché era così nemico d'ogni fasto, così alieno da ogni pubblicità, così genuino nella sua semplicità umana, da rifuggire le pompe del mondo e della politica trionfalistica.

Ma, più probabilmente il caro defunto è stato sepolto in fretta, senza celebrazioni, senza commemorazioni presidenziali, senza adunate oceaniche con le rosse bandiere, senza fanfare e «senza impegno», non tanto perché era «stato dimenticato», quanto per impedire che gli italiani «ricordassero» i tempi in cui il comunismo ammazzava, insieme ai «tiranni», anche le donne e i bambini e i vecchi e i preti fascisti, e soprattutto «presunti tali». La stampa nazionale, dunque, d'accordo con il PCI, non ha fatto versare fiumi di lacrime e non ha voluto «specificare» le prodezze di «Valerio» e compagni, sol per alimentare la leggenda del «comunismo dal volto umano».

 


 

Dopo la crudele "mattanza" operata dai partigiani, i corpi straziati di Benito Mussolini Duce del fascismo e Claretta Petacci, vennero portati a Milano e appesi (come mostrano le foto) a Piazzale Loreto affinchè tutti potessero vederli. La folla inferocita si accanì contro quei corpi in maniera animalesca, tra insulti, spari e sputi. Una donna addirittura sparò dei colpi di pistola al Duce dicendo: "un colpo per ogni figlio che hai mandato a morire in guerra". Quando i corpi vennero recuperati e accantonati vicino ad una parete in attesa che fossero prelevati, qualcuno posò su di loro un fiore, qualcun'altro mise la mano di Mussolini accanto quella di Claretta. A distanza di oltre 50 anni da quel tragico episodio, la verità su cosa sia accaduto realmente, quel pomeriggio del 28 aprile del '45, è ancora avvolta dal mistero. Quel che è certo è che Walter Audisio ha fornito molte versioni discordanti sulla presunta esecuzione di Mussolini e di Claretta Petacci. Gli assassini del Duce del fascismo sono stati sicuramente altri, rimasti nell'ombra. La verità rimarrà nascosta, forse, per sempre.
La verità, il perchè del mistero di tante interpretazioni «sfocate» legate a questa vicenda , è tutta qui: nella premeditata intenzione di convincere gli italiani che i comunisti son diventati buoni, pacifici, democratici e pietosi. A tal punto, da vergognarsi, forse, d'aver avuto fra loro uno come il «colonnello Valerio», ammazzatore anche di donne. E a tal punto si son convertiti, da provar forse un senso pur inconfessato di pietà anche per il «mostro» Mussolini. Altrimenti, per commemorare la scomparsa del "caro estinto" Walter Audisio, avrebbero coperto di drappi rossi e neri l'Italia (come è la loro usanza) per il «grave lutto dell'antifascismo». Altrimenti, avrebbero «usato» la morte dell'Eroe per servire la grande, la nobile causa dell'antifascismo vecchio e nuovo.

 

 

J.F.K. Mussolini Area 51 Bermude Atlantide LochNess Dracula
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